17 Aprile – 9 Maggio 2010
Strutture verso il cielo
nell’ultima pagina di Pierluigi Cattaneo
Mauro Corradini
1. “In un’alba senza uccelli il mago vide avventarsi contro le mura l’incendio concentrico. (…) Andò incontro ai gironi di fuoco: che non morsero la sua carne, che lo accarezzarono e inondarono senza calore e senza combustione. Con sollievo, con umiliazione, con terrore, comprese che era anche lui una parvenza, che un altro stava sognandolo”: è la conclusione di uno straordinario racconto, Le rovine circolari, con cui Jorge Luis Borges dà forma narrativa alla nostra precarietà, allo spegnersi lento e continuo dell’esistere, fino a trasformare il protagonista che sogna una nuova vita fuori di sé, in un “sognato”, che vive solo attraverso i pensieri di un altro. Non è difficile tuttavia accorgersi che la scala dei rinvii e rimandi potrebbe essere ampliata all’infinito, fino a rendere precaria l’esistenza e l’essenza stessa di ognuno.
Non so se Pier Luigi Cattaneo conosca le Finzioni di Borges, da cui abbiamo tratto l’incipit; di certo conosce il velo leggero che circonda le cose, troppo leggero forse per trascrivere la concretezza tattile dell’esistere; l’artista conosce la fragilità dell’essere, e, da scultore, per trascrivere la domanda sull’io che necessariamente si pone, ha dato una sua risposta, alleggerendo all’inizio di questo nuovo ciclo, le forme e le figure del suo universo espressivo, fin quasi alla scomparsa dalla terza dimensione.
La mostra che raccoglie le opere recenti di Cattaneo, mostra gli esiti di questa evoluzione; più pittorico che plastico, il mondo poetico di Pier vive su leggeri rilievi che a malapena si innalzano sul supporto, strisce di cartone, frammenti di tela o di altro materiale, forme aggettanti che si incontrano e si intersecano, dialogano con lo sfondo in un’alternanza tra zone assolutamente levigate e altre più articolate e accidentate, con sbalzi leggeri, intrusioni di segni che ne deformano la superficie, fino a giungere in alto nell’immagine alla costruzione di una fenditura, che taglia in due, verticalmente, l’intera opera. Tale fenditura appare per accenni già in alcune opere precedenti questa ricerca, ad iniziare dal 2007; in questa mostra sono evidenti alcune opere della prima metà del 2008 in cui l’interruzione appena accennata tende a dividere la forma compatta; poi la fenditura si fa più netta nelle opere successive, e diviene taglio verticale, memoria colta e apertura alla luce; l’immagine appare suddivisa in due parti.
La lieve rientranza si è fatta frattura profonda, scandisce il piano originario: ferita e apertura, piena di inquietudini la prima e carica di speranze la seconda, frantumazione dell’unità che inquieta lo sguardo e pertugio, al cui interno troviamo una via di fuga, un possibile varco.
Cattaneo è venuto descrivendo la linea di demarcazione su superfici mosse e articolate, costruite sostanzialmente sul monocromo (bianco, nero, rosso), quasi a voler rimarcare l’unità dell’essere, la sua costituzione-costruzione compatta. Poi i lievi perturbamenti, le piccole increspature, le aree che aggettano verso il lettore creano corrugamenti e sussulti; e ancora il contrasto tra superfici assolutamente stabili, senza increspature, e zone più accidentate amplifica la dimensione contrastata: metafora dell’essere e della varietà dell’esistere, o necessità di evidenziare un’inevitabile contraddizione, uno squilibrato equilibrio. È un processo in fieri quello di Cattaneo; si misura con lo sguardo e con le tensioni interiori: il primo cerca certezze, le seconde svelano incanti e avventure. L’opera si conferma come immagine fragile del mondo, appare costruita tra parvenza e solidità.
2. Forse l’input originario è dato proprio dall’idea del corpo femminile, dall’idea delle labbra, da un frammento anatomico in cui fondamentale è la dimensione dell’incontro (labbra, gambe, bacino); e non è difficile scorgere nella sottolineatura l’attrazione, l’emozione personale, la passione sulle soglie dell’erotismo. Il gioco formale dell’arte e il ruolo dell’occhio prendono tuttavia a poco a poco il sopravvento; le superfici si accostano e si dilatano, tutta la struttura compositiva viene ad assumere la figura di un orizzonte lontano, come se il piccolo particolare anatomico evocato, le labbra soprattutto, si trasformasse di colpo nell’intero paesaggio, nell’universo possibile dello sguardo, che respira e vive la vastità dello spazio.
In questa nuova situazione, l’iconografia viene dimensionandosi attraverso il contrasto positivo/negativo del bianco-e-nero, nel quale il bianco gioca il ruolo lieve dell’increspatura, si fa onda di duna lontana, mentre il nero gioca il ritmo cupo della nube che incombe, il ruolo dell’ombra, che ad un tempo si affolla sullo sguardo e tende tutto appiattire. Le cromie che successivamente l’artista viene aggiungendo al bianconero originario (il rosso soprattutto, ma anche il giallo) nascono in autonomia, sono rappresentazioni necessitate dalla struttura, non scelta linguistica; trascrivono differenti condizioni dell’esistere. L’opera, la superficie che viene con una lieve tridimensionalità verso il lettore, muta a seconda del colore dominante, dalla profondità inestricabile del nero, che non lascia scorgere che vagamente le accensioni e gli ondulati movimenti della superficie, alla potenza espressiva del rosso, che sembra insanguinare tutta la superficie dell’immagine inondandola di vitalità, fino alla fragile consistenza del bianco, che appare come l’incipit del processo espressivo, la conferma di quella parvenza delle cose e della realtà da cui siamo partiti; il bianco favorisce l’emersione dell’intatta purezza delle figure, ma chiede al lettore una attività di percezione attenta e rigorosa.
Il tema della percezione segnala un nuovo livello espressivo nell’opera; l’artista pone la domanda al lettore, perché segua e insegua il percorso: percezione e fruizione, sempre più asse privilegiato dell’immagine, appaiono nell’ultima pagina artistica di Pier come il sostrato significativo in un tempo di immagini fragili e di facile consumo. L’arte chiede al lettore la medesima tensione dell’operatore, incapace di lasciarsi comprendere dalla fuggevole velocità dello sguardo. L’arte chiede di ritornare all’io-lettore che si interroga sul senso dell’immagine, si avventura dunque sui medesimi percorsi che l’artista ci pone; al troppo “facile” dell’immediato, per cui è possibile cogliere tutto con un colpo d’occhio, si sostituisce la lettura meditata. Il colpo d’occhio è possibile là dove non esiste mondo poetico, dove tutto, in forma tautologica, non esprime altro che se stesso. L’arte cerca l’oltre, l’insondabile, il lontano, il nascosto, cerca l’inesprimibile. Gli stessi materiali utilizzati da Cattaneo, le carte, i cartoni, i cartoni ondulati, la trama lieve delle tele bianche come garze, le diverse strutture materiali che contribuiscono alla costituzione dell’opera chiedono un accostamento lento: il tempo del rapido consumo è finito.
Cattaneo chiede al lettore di fermarsi, osservare, scoprire lentamente; e forse in questa lentezza-gioia-piacere l’artista sottolinea l’esigenza di soffermarsi sulla figura del corpo femminile, per cui l’opera trascrive, unitamente all’interna emozione dell’artista, anche l’immagine che incanta, alimenta sogni, interpreta magie espressive. Ricordo di un viaggio, 2008, Laura, 2008, Germe di vita, 2008, Il filo lieve della vita, 2008 , sono le opere che testimoniano la fase iniziale del ciclo di Cattaneo che andiamo presentando; e non sembri casuale se i rilievi con cui l’artista si è accostato al suo mondo in fieri appaiono per lo più dimensionati con il bianco; recano in se stessi la memoria di una presenza erotica. Il bianco, ad un tempo tutti i colori e un non colore, alimenta la precarietà, la fragilità; insieme al bianco, il ricorso al frammento del corpo femminile, certifica la fragilità dell’essere umano; nella frammentazione, Pier sottolinea anche la progressiva scomparsa della bellezza, in una dimensione non diversa dal finale del racconto da cui abbiamo preso le mosse; come se Cattaneo, interrogandosi sull’immagine in un mondo di frettolosi consumi, fosse giunto alla constatazione di una lenta dissoluzione, un dissolvimento che lascia pochi margini al segno, alla figura, alla forma, ormai vago fantasma sulla superficie; la precarietà e la fragilità suggeriscono tanto la rivolta titanica, quanto l’assuefazione alla scomparsa.
3. La seconda fase di questo ciclo forse prende avvio dall’incontro con il Crocifisso rosso, 2008; l’opera nasce per una specifica circostanza e documenta l’inevitabile ritorno alla figura, all’icona. Tale ritorno aiuta l’artista a chiarire per se stesso, prima ancora che per gli altri, il ruolo del colore; già un passaggio in questa direzione è ravvisabile in piccole sculture come Desiderio, 2007, attraverso cui Cattaneo aveva esplorato la modificazione della sostanza percettiva dell’opera attraverso il colore a smalto, ad un tempo evidenza e appiattimento, in quell’ambiguità che sembra fungere da faro della nuova linea poetica dell’artista bresciano. Di certo il Crocifisso rosso conduce Cattaneo ad una diversa valutazione dell’essenza figurale e della percezione dell’immagine, costruita con gli stessi materiali fragili di cui stiamo discorrendo. Pochi frammenti di cartone ondulato costruiscono il corpo piagato e la testa reclinata del Cristo, abbandonata nel silenzio della morte.
L’artista si è di necessità posto il problema della figura e della percezione, affrontando il tema della morte, trascritto nella più antica delle figure del dramma dell’Uomo; e forse, proprio attraverso questa elaborazione, Pier comincia ad articolare la forma complessiva della sua ricerca in una verticalità nuova, spezzata in due dalla presenza centrale del corpo ripiegato all’abbandono della morte. Nelle opere successive tale presenza si restringe, si fa fenditura, spacca la forma tozza centrale e in due parti, che l’artista diversifica sia per consistenza, che per intrusioni di altri ritmi compositivi.
È l’incontro con il dramma a dare una risposta alle domande che l’artista si era posto per tutto il 2007 e ancora leggibili nella prima metà del 2008, il periodo in cui, abbandonate alcune misure precedenti, vengono manifestandosi per accenni le nuove vie, espressione e contenuto nel medesimo tempo. E la svolta modifica di necessità anche il contenuto; paradossalmente, proprio di fronte al dramma della morte, il corpo recupera la sua consistenza formale; la fragilità si fa forza, mentre la struttura orizzontale tende ad assumere una nuova verticalità. Il corpo definisce un nuovo ritmo strutturale, delinea una scansione composita che diviene in breve tempo lucida traccia verticale: nasce la frattura alto-basso che caratterizza le pagine recenti.
La fenditura frantuma lo spazio, gli dà un ritmo; ma la fenditura è anche spiraglio, progetto, apertura: è la luce che proviene dal fondo, dall’oltre. Inevitabile forse la scelta iniziale di giocare sul contrasto tra il nero della forma e il bianco intatto del supporto, lasciato a tradurre l’ultima possibilità e/o potenzialità.
Se di fronte al vuoto dell’esistenza, il “sognato” di Borges indietreggia nel dramma di una coscienza che non c’è, il vuoto di Cattaneo apre alla luce, che illumina le protuberanze e le ondulazioni della superficie, tutta giocata su un movimento lieve, pieno di contrasti e suggestioni, quasi a voler sottolineare e annullare la percezione plastica: la fenditura si fa simbolo, taglio e ferita, ma anche spiraglio di luce: il nero e il bianco sono chiamati per questa via ad assumere un ruolo simbolico.
L’aggiunta del colore muta successivamente tutta l’essenza dell’opera; rimane il bianco, con il suo simbolo positivo di vitalità e di luce, rimane il nero, con l’appesantimento delle forme, che sembrano muoversi lievi, come intraviste sotto la superficie del mare, rimangono il rosso ed il giallo, ritrovati con una simbologia che si fa tangibile, più concreta per il rosso, più leggera e quasi spirituale per il giallo; come se l’artista, di fronte alla contraddizione del reale, posto a confronto con un mondo necessitato a consumare tutto velocemente o a tutto lasciare, voglia scandire pause, esaltare i silenzi, aprire varchi possibili. Nel tentativo di ridare un ruolo all’arte, ma anche per ritrovare una visione del mondo in cui condensare le nostre contraddizioni.
Gussago, gennaio 2009