Carlo Micheli ha raccolto un gruppo di amici artisti, tra Brescia e Mantova; ne è nata una mostra con cui il critico mantovano percorre una sorta di border line tra figurazione ed astrazione, tra figurazione che scompare e gesto e materia che assumono la prevalenza.
E’ un percorso che si comprende in un tempo di incertezze; un tempo dominato dalle contaminazioni, ad iniziare da quelle che si ritrovano nell’opera di Stefano Nardi, per esempio, che mantiene l’iconografia, l’immagine, la figura, magari «distrutta» dallo stesso segno che la forma; per questo l’artista mantovano ma non esista a riempire gli spazi del quadro con segni meno rappresentativi, costruiti piuttosto sull’idea stessa di immagine, per un’età priva di regole e misure. Se dunque Nardi costruisce e distrugge, indica e cancella, sul lato opposto un’altra giovane mantovana, Federica Aiello Pini, ricostruisce e dà un senso ai suoi monocromi, un’elaborazione sul grigio, accresciuta attraverso la presenza di tracce, fenditure a volte, come se la lezione di mezzo secolo fa, alla ricerca dell’oltre, ritrovasse campo e ruolo nella sua opera. E la presenza incisiva della traccia forte dà nuovo vigore alle modulazioni materiche dell’opera. IN UNA PROSPETTIVA non dissimile si muove Hikari Miyata, che ha portato nelle nostre terre l’intensità spirituale dell’Oriente; e le sue tracce costituiscono la relazione tra l’uomo e la natura, ribaltando il senso d’angoscia così tipico della modernità nel ridar corpo all’intuizione dell’insieme. Lo stesso, del resto, che viene dal «nostro», pittore bresciano, Alessio Ottelli, che anima lo spazio dello sfondo, la profondità del colore che ha il sapore del cielo, con le presenze terrene, un qualcosa che sembra prender forma davanti ai nostri occhi, quasi ad indicare un bisogno di concretezza: nella metafora del vuoto, il pieno di segni riconduce l’opera sotto il controllo della ragione, e l’immagine si manifesta tra irrazionale e misura. Anche Enos Rizzi, mantovano, riporta la sua indagine su piani disparati e ricomposti: dal fondo pieno di umori e di venature cromatiche, che già si propone come una presenza, emerge un segno scritto, un foglio che viene da un archivio che non conosciamo, con parole scritte che nemmeno vogliamo leggere, dal momento che tutto è giocato sulla polarità di un fondo pieno di sussulti e il gesto deciso della scrittura.
CHIUDE IL PERCORSO il «padrone di casa», l’artista bresciano Pier Cattaneo, presente quasi solo con opere di pittura. Anche in lui la contaminazione tra le due forme espressive che hanno segnato almeno l’ultimo quarto di secolo del suo cammino, pittura e scultura, si esalta in questa riduzione a forme semplificate e colori a contrasto, come se la realtà potesse essere ancora assaporata solo nella contraddizione; è il bianco che giustifica il nero, il liscio che giustifica il granuloso, la superficie pulita che dà misura alla tela utilizzata come collages, con le sue frange mobili, piene di sussurri. La mostra sembra voler costituire la sintesi tra i moduli espressivi coesistenti di una società tra passato e futuro.
Mauro Corradini da Brescia Oggi del 08 luglio 2010